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Commerialista criptovalute

Bitcoin

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Lo Stato Italiano ha disciplinato le criptovalute solo ai fini dell’antiriciclaggio. Secondo l’art. 1 del D.lgs 231/2017 le critptovalute sono una «rappresentazione digitale di valore non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente» (articolo 1, Dlgs 231/2007, nella versione integrata dal Dlgs 90/2017).
La Banca d’Italia, nella comunicazione del 30 gennaio 2015, ha dato una definizione, che secondo alcuni, meglio si adatta al caso osservato: le valute virtuali, pur non essendo necessariamente collegate a una valuta avente corso legale, sono utilizzate «come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento e possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente».

Dall’Agenzia delle Entrate

Secondo l’Agenzia delle entrate il fenomeno bitcoin è un fenomeno complesso, che ha bisogno di molti approfondimenti (nella giornata di studio del 16/04/2018 a Bologna, l’ADE, più che soluzioni ha posto molti interrogativi).

Allo stato attuale la tassazione dei bitcoin e delle altre altcoin, deve essere distinta, a seconda del soggetto che opera: se il soggetto opera come impresa, l’operatività in bitcoin è tassata secondo i criteri del reddito di impresa. Per le persone fisiche la situazione si complica. L’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che la detenzione delle cripto, da parte di questi soggetti, non è a scopo di speculazione e quindi non rileverebbero ai fini fiscali; tale conclusione non mi trova d’accordo. La tassazione delle criptovalute, dei redditi da cessione di bitcoin (prezzo di vendita al netto del prezzo di acquisto), ossia della plusvalenza, ricadrà nell’alveo dell’art. 67 del TUIR.

Altre applicazioni della Blockchain

A livello globale lo sviluppo della blockchain è frenato dalla mancanza di un business case certo che dimostri che vi siano benefici tangibili dall’utilizzo di questa tecnologia e uno standard unico e definito. Si intuiscono le enormi potenzialità, ma bisognerebbe individuare un protocollo unico che garantisca l’efficacia e l’interoperabilità delle soluzioni e gli ambiti applicativi più corretti.

L’Italia fatica ancora di più a cavalcare una tecnologia ancora piuttosto immatura; anche da noi è il comparto finanziario a fare da apripista. Moody’s mette in guardia: le banche italiane sono tra gli istituti che potrebbero risentire maggiormente dell’impatto della blockchain sui ricavi da commissioni. L’agenzia di rating spiega che la tecnologia ha il potenziale di ridurre in modo rilevante costi, tempi e rischi delle transazioni bancarie cross-border, aumentando l’efficienza degli istituti, ma al tempo stesso mette sotto pressione le loro entrate da commissioni. Le più esposte sono le banche svizzere, che dipendono dalle commissioni per il 50% delle loro entrate.

 

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